Verso i quaranta

Lei si svegliò lentamente, mettendo a fuoco poco a poco la penombra della stanza. Aprì gli occhi a fatica, inciampando nella luce del giorno che proveniva dalla finestra. I colori vividi dei quadri appesi alle pareti accentuarono ancora di più il suo malumore. Aveva dormito male quella notte e si sentiva ancora tutta agitata. Si alzò sbuffando e si diresse alla finestra dalla quale entrava, allegro, il caldo sole del mattino. Guardò oltre i vetri dove la primavera dava mostra di sé con grande ricchezza e lei lo prese quasi come un insulto. Contrastava troppo con il clima arido e nebbioso del suo stato d'animo.
Lui l'aveva lasciata. Senza un come, senza un perché. Semplicemente non l'amava più. Questo pensiero le attraversò la mente all'improvviso e le diede una nuova fitta di dolore, mentre lacrime di rabbia le salivano agli occhi. Non è che fosse innamorato di un'altra, non è che avessero litigato, è solo che non l'amava più. Punto.
Si erano lasciati con la semplicità con cui un petalo cade dalla corolla di un tulipano. Questo la faceva sentire così impotente e incapace di gestire la fine di quella relazione da lasciarla vuota, confusamente infelice, in un letto troppo grande, un frigorifero sguarnito e troppo tempo libero a disposizione. Avevano un bel consolarla le sue amiche, le telefonavano continuamente dicendole di trovarsene un altro, che la vita va avanti e di uomini è pieno il mondo. Ma lei questo lo sapeva e non le importava. Non sentiva la mancanza di lui, sentiva lo stupore per un qualcosa che era finito senza una spiegazione, senza che lei se ne accorgesse.
Le sue amiche invece ne collezionavano tante di storie così. Si esce, ci si incontra al pub davanti ad una birra, alla caffetteria, davanti ad un espresso, in libreria, al parco. Ci si scambiano timidi sorrisi, qualche parola, un gesto d'amicizia. Si prende insieme un caffè o un aperitivo raccontandosi episodi della propria vita. Ci si scambiano i numeri di telefono. Si esce. Si fa l'amore a profusione. Poi, d'improvviso le telefonate e le visite rallentano, gli impegni di lavoro sembrano diventati la parte preponderante della propria vita. Non ci si racconta più nulla, le telefonate diventano piene di silenzi vuoti, non si fa più l'amore, non ci si sente più liberi di parlare della propria vita. Si torna ad essere degli estranei. Il cerchio si chiude ed un'altra piccola ferita si va aggiungere alle cicatrici che si hanno sul cuore.
Lei invece non era così. Non aveva storie di passaggio, non riusciva a chiudere con la stessa risolutezza con cui si riattacca il telefono. Lei in quella storia ci aveva creduto, anche se stava cominciando a sbocciare solo allora.
Con rabbia sistemò la stanza e si avviò verso il bagno. Si guardò allo specchio. I suoi trent'anni erano passati e si stavano avvicinando ai quaranta. Sentiva che la sua vita meritava una svolta. Anche se ai quaranta mancavano ancora alcuni anni.
Lui si svegliò di buonumore, pieno di energia. Si stiracchiò a lungo, godendo del tepore delle coperte sparse e attorcigliate al suo corpo nudo. Si alzò sbadigliando sonoramente ed accompagnando il gesto con una lunga serie di rumori fisiologici che andavano dal brontolìo confuso, allo scricchiolìo, al fischio e al borbottìo. Attraversò la stanza dribblando accuratamente i vestiti sparpagliati sul pavimento ed andò in bagno dove si lavò con l'abbondanza d'acqua di un pompiere che spegne un incendio. Uscì da una doccia che sembrava la fiera del calcare incrostato strofinandosi vigorosamente con un asciugamano fradicio ed entrò in cucina dove iniziò, canticchiando, a prepararsi un caffè. Accese la luce, perché aprire la finestra sarebbe stato troppo faticoso, con tutta la roba che avrebbe dovuto spostare per lasciare spazio alle imposte. Si accese la prima sigaretta della giornata, spargendo cenere ovunque tranne che nel posacenere strapieno di mozziconi. Dopo aver lasciato tracce marrone arabica dappertutto si grattò la testa e contemplò la sua vita con soddisfazione. Aveva appena lasciato l'ennesima donna che avrebbe voluto ingabbiarlo in una relazione fatta di regole, ordine, telefonate, orari fissi, aspettative, musi, gelosie, compromessi.
I primi tempi di una storia d'amore erano belli. Si usciva quando se ne aveva voglia, ci si vedeva quando se ne sentiva il bisogno, si faceva l'amore senza promesse, e dopo ognuno tornava a casa sua, nel suo spazio, nella sua vita. Poi, nella seconda fase, cominciavano le domande: "Perché non mi hai chiamato?", "Dov'eri ieri sera?", "Perché devi proprio vedere la partita?", "Non mi fai compagnia?", "Non vuoi proprio conoscere i miei?", "A cosa pensi?". La donna seducente ed interessante che aveva conosciuto qualche settimana prima era diventata un detective, sospettoso e insistente. Improvvisamente non sopportava più il suo disordine, che prima trovava tenero, si mostrava disgustata dalle sue manifestazioni corporee, che prima la facevano tanto ridere, diventava irritabile se la toccava senza permesso, mentre prima prendeva fuoco con un solo sguardo. Il cotone si era sostituito al raso della biancheria, i pizzi erano scomparsi ed il pigiama aveva sostituito la camicia da notte. Pretendeva di conoscere i suoi amici, di leggere i suoi libri, di dirgli cosa mangiare, come vestirsi, quando uscire e dove andare. Lui non se la sentiva.
Non aveva ancora quarant'anni, anche se mancavano alcuni mesi, ma quella vita poteva ancora aspettare.

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